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E’ SANT’ANATOLIA DI NARCO.

APPENA FUORI DALLA LUNGA GALLERIA, è il verde che ti assale e ti sorprende e poi il bianco, quando appare. Il verde dei monti boscosi di cerro e di faggio, tra orchidea selvatica e giglio rosso, dei campi sodi e prativi e il bianco delle pietre dei borghi. E’ la Valnerina, terra d’emozioni mescolate. Valle del fiume Nera, abitata dai Naharki, popolazione legata al culto del grande fiume, divinità e realtà vivente insieme. Così appare il Castello di Sant’Anatolia di Narco, nella omonima Valle di Narco, che deve il suo nome alla Santa martirizzata, Anatolia callistene, la più bella, ma anche a queste antichissime popolazioni paleo umbre che lo abitarono. Qui Felice e Mauro, della copiosa comunità di eremiti siriani, sconfissero i il drago, forse la peste, il morbus dragonis , testimone del tempo la splendida Abbazia a loro dedicata che nei bassorilievi marmorei riporta l’effige della epica lotta.

ZONA GEOLOGICA DI GRANDE FASCINO, nell’area del Coscerno-Aspra, tra acque di gole strozzate e acque di fonti, tra specie animali e vegetali di grande interesse tra il lupo e il gatto selvatico, l’aquila reale e il falco, l’astore ed il lanario, tra eremiti dalle cento celle, tra campi falciati e distese di canapa, e acque cristalline che attraversano paesi di pietra, dove felici nuotano le trote che chiamiamo Fario. Simboli arcani di draghi sconfitti, e un santo guerriero, quel san Michele difensore della cristianità, nella chiesa a lui dedicata coi dipinti di un famoso pittore, lo Spagna, dal tratto uguale a quello del maestro, il Perugino, artista ugualmente importante dai vari disegni e studi sparsi nei musei di Londra, Parigi, New York. CHE DI GAVELLI PARLIAMO, castello incantato, ancor oggi nascosto alla vista, baluardo della cristianità sin dal secolo nono, difesa dalle scorrerie saracene che infestavano le zone più a valle e la vicina Spoleto. Gavelli, clavellum, la chiave di accesso ai luoghi vicini. Patria anche dell’umile patata, così preziosa nel nostro ‘800, quando di carestie si soffriva e quando in zone montane nutriva intere famiglie, raccomandandone l’uso nei luoghi isolati persino i prefetti. In cambio di vitto e di un po’ di patate tutti aiutavano nella raccolta, anche i vicini con i quali poi “ l’opera” si ricambiava, perché l’autunno delle piogge era ormai prossimo. Le patate, prezioso baratto, merce di scambio con l’olio ed il vino, qui impossibili o scarsi, ed i fichi, e i formaggi. La “strada doganale” che passava a Polino e Ferentillo era la” via dell’oijo e delle patate” che qui ne avveniva lo scambio ed era la stessa strada della transumanza, quella “rotta del pecorino” creato con le erbe di montagna, e dei leggeri caprini nelle nuove ricette oggi evanescenti, pur nella tradizionale lavorazione del latte di pascoli ricchi di biodiversità. LA BIODIVERSITA’, il migliore compromesso tra tradizione e modernità: qui 450 varietà di mele diverse, 80 di fichi, 60 di pere, oltre a lamponi, more, ribes, cachi, ciliegie, sorbe, visciole, mandorle, noci e molti altri frutti strani, per un totale di oltre 1200 varietà di frutti e piante commestibili. E roverella, acero e pino d’Aleppo a regalare frescura e quercia e carpino e nocciolo, a regalare tartufo, il melanosporum, il nero pregiato che vive con le loro radici in simbiosi. E ancora CASTEL SAN FELICE  e l’antico  CASTELLO  DI CASO  col suo Piano delle Melette, un tempo bacino alluvionale, oggi un lago d’erba con meli e mandorli, di cui una antica preghiera, tra latino e volgare, invoca la conservazione: A fulgure et tempestate/A flagello terremotus/A peste, fame et bello/ libera nos, Domine S. Cristina,/ su capo le Campore/fa venì bene le nostre mandolde e le melucce roscette “ncò/ (litania) te rogamus andi nò.”  La salvezza dalla peste, dalla carestia, dalle guerre, dal terremoto e dalle tempeste, di cui si invoca la patrona Santa Cristina, è posta sullo stesso piano della buona  riuscita del raccolto delle mandorle e delle melette, alimenti importanti di sopravvivenza. Accanto distese di lino e di canapa per produrre la storia: sacchi, asciugamani, canovacci, lenzuola, indumenti, e persino le antiche fasce per i neonati.

 

CHE TERRA E’ MAI QUESTA, di folletti e di elfi dei boschi, e di fate morgane e leggende e sibille dai vaticini arcani  e di cure con pozioni di “ciarlatani” profumate di inebriante tartufo, e di scuole chirurgiche che sezionando il maiale studiavano meglio la sagoma ‘umana ed allora, esperienza fa virtù, creavano carni odorose e profumate di spezie e conservate al fuoco dei camini sempre accesi e “insaccate” per averle più a lungo gustate, durante l’inverno, chè è freddo quassù anche alle ”balze” dei monti. E di tratturi che conducono ovunque, e ancor oggi chiamati strade dei Santi, che eran gli stessi dei pastori che riportavan le greggi agli ovili, e di latte cagliato, anche col cardo gentile, e così conservato col profumo del vento, del sole e dell’erba che cresce spontanea: bio-diversa in tante autoctone specie, conservate ai millenni che passano invano, quassù. Erba che dona profumati formaggi, alveolati, spaccati, un tempo bassi e distorti, spesso con le mani accostati. E la canapa che curava anche i mali, che creava quei sacchi e faceva le stoffe, i tessuti, e le vele e le tele per i mari lontani e i corredi di tela robusta, chè difender dovevan dal gelo e dal sole cocente e dal vento imperioso. Che forse anche il saio di Francesco di canapa era ! E magari si tingevan dorate le stoffe con lo zafferano, che oro non era, e si creava la carta con la sua fibra preziosa e l’acqua copiosa.

TUTTO QUESTO E’ OGGI SANT’ANATOLIA DI NARCO E IL SUO MUSEO DELLA CANAPA che è vivo e vitale, non solo realtà museale. Qui non solo si illustra e si mostra un passato da ricordare, ma si crea, si lavora, si insegna che con la passione tutto è possibile: far rivivere una fibra dimenticata. Un misto di storie di vita, di dura realtà, di natura e di arte, di lavoro dell’uomo, di favole e miti, di cibo condiviso, di piatti creati con sapori studiati per rendere meglio un gusto profondo, un gusto dei luoghi, il sapore del verde e quello del vento e del sole e dell’acqua e di vere realtà, creando e facendo. Creando e creando dalla crisi si esce, insieme, volendo.

 

marilena badolato   12 agosto 2014

 

AUTHOR - Marilena Badolato