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SCRIPTA MANENT: IL MIRACOLO DELLA SCRITTURA. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELL’UMBRIA-PERUGIA

Scripta manent, le testimonianze scritte in Etrusco, Umbro e Latino, attraverso il materiale del nostro Museo archeologico. Il miracolo della scrittura, patto di convenzione per comunicare più complessi stili di vita, pensieri e sentimenti. La tabella comparativa degli alfabeti delle principali lingue del mondo antico fa riflettere sulla complessità dell’Etrusco arcaico e classico rispetto all’Umbro, molto più povero di suoni consonantici. Ma appaiono anche l’Osco, il Falisco, il Piceno il Messapico, il Latino arcaico e quello classico. Molteplici e approfondite sono le testimonianze del mondo etrusco tramite la scrittura, gli etruschi scrivevano dappertutto, ma purtroppo il materiale rimasto è limitato a brevi epigrafi funerarie, come se la vita dell’aldilà fosse la più importante e meritoria d’essere ricordata. La scrittura segnerà il limite tra protostoria e storia, con la scrittura gli uomini impareranno a raccontarsi. Inventata dai Sumeri, la prima testimonianza scritta risale al XIX secolo a.C, a struttura proto cananea, dal nome del popolo che abitava quelle terre. Le lettere, in tutto 22, rimandavano alle figure che per convenzione iniziavano con quella lettera: toro in lingua semitica era apulus e quindi il toro rappresentava la lettera a. Ai Fenici il compito poi di diffondere un alfabeto in area mediterranea. Gli usi della scrittura nel mondo antico rimarranno però confinati negli usi religiosi, sacrali, giuridici funerari, e negli eventi ufficiali.

Inizia la visita. Nella sezione Urne funerarie le scritte che appaiono sono tinte in rosso, il colore, uasto sempre per contrastare l’oscurità della morte e per evidenziarne i contenuti, spesso i nomi  e l’appartenenza ad una famiglia. L’alfabeto etrusco era scritto da destra verso sinistra, il più antico reperto è stato rinvenuto a Perugia attorno agli anni ’60 durante la costruzione del Palazzetto dello sport di Via Pellini. E’ un fondo di coppa in bucchero nero della seconda metà del VI secolo a.C. e, leggendo da destra verso sinistra, si nota un graffito etrusco,  lingua che in epoca classica constava di 26 caratteri e derivava dall’alfabeto dell’Eubea occidentale, portato in Italia dai coloni euboici dell’isola d’Ischia. Una maggiore dose di informazioni ci viene dal Cippo di Perugia del III-II secolo a.C., pietra in parte levigata e incisa in 24 righe con 22 lettere per ciascuna riga, l’unico testo più complesso rimastoci che non sia una semplice formula onomastica o sacra. Rappresenta un atto giuridico stipulato tra due famiglie per la definizione di un confine, probabilmente redatto per por fine a una lite. Un vero e proprio cippo di confine scritto per delimitare la proprietà dei Velthina di Perugia e degli Afuna di Chiusi. Reperto interessante perché si trovano riportate, all’interno dell’argomento dei raccolti, la coltivazione di riso nell’acqua e quella di grano, che anticamente era il nostro farro.

Per l’Umbro invece troviamo la più antica iscrizione nella corazza del Marte di Todi, una statua in bronzo del V secolo a.C. rinvenuta in località Montesanto, anticamente sede di un Santuario dedicato al dio. Il paleoumbro, dal VII e sino al V secolo a.C, lentamente si arricchirà di termini etruschi, lingua molto più articolata, e poi di termini latini a proprio uso e consumo. In una lamina in bronzo affiorano vocaboli che attestano la presenza di un Santuario a Plestia (Colfiorito) dedicato alla Grande Madre, la dea Cupra, del II secolo a.C, dove troviamo una commistione umbro-latina CUPRAS MAT RES PLETINAS SACRU ESU. Ma il latino si attesterà sempre più prepotentemente: lo troviamo nella Iscrizione di Bettona, città- fulcro di romanizzazione attraverso la via Amerina, sia in un’ Iscrizione rinvenuta a Spoleto dove si parla di un ager acquistato e delimitato da un maroneo, personaggio con carica amministrativa: uno scritto in lingua umbra con influenze latine, per una carica che era etrusca. In un’altra iscrizione posta in un cippo lapideo appare la Lex Luci Spoletina (l’originale è conservato nel Museo Archeologico di Spoleto), dove si parla del bosco sacro di Monteluco di Spoleto, che è un primo esempio di norma forestale nel mondo romano: iscrizione su pietra del tardo III secolo a.C., scritta in latino arcaico, che stabilisce le pene per la profanazione del bosco. Altri interessanti materiali sono stati rinvenuti a Scoppieto di Baschi, zona Todi, dove gli scavi hanno riportato alla luce una Officina di produzione di fine ceramica da mensa, chiamata ceramica aretina o sigillata, perché presentava numerose decorazioni con sigilli (il sigillo era il punzone con cui si eseguivano le decorazioni per le matrici). La Coppa 19 al centro presenta una formina, un bollo, in planta pedis, con le iniziali del proprietario della officina: un marchio di fabbrica ante litteram. Questo permette di datare il pezzo, lo stato in cui viene rinvenuto, e la destinazione di tutto il complesso rinvenuto. A Scoppieto vi era un tratto esteso di Tevere navigabile e quindi è plausibile la presenza di commerci fluviali. In un’altra statuetta rinvenuta a Perugia, del II –I secolo a.C., si trova stabilizzato ormai l’uso del latino, infatti si legge: C. RUFIUS SIGILLARIUS FINXIT, cioè Caio Rufo scultore plasmò. Nel I secolo prende piede l’uso di collocare iscrizioni sopra oggetti d’uso comune: così per scrivere su pergamena ecco un bel calamaio, con assicella appuntita per vergare, e con “ inchiostro” al nero di seppia o alla fuliggine o pece diluite con acqua. Ma si scriveva anche su tavolette ricoperte di cera d’api tramite uno stilo appuntito munito di una parte piatta per cancellare. I rotoli latini lunghi anche oltre10 metri, erano detti VOLUMEN e avvolti su assicelle che ne permettevano il riavvolgimento. In tarda età imperiale si passò al MANUALE, il prototipo del libro.

Il Cippo di Perugia

iscrizione di possesso di un ager da parte di un maroneo

La ceramica fine da mensa con sigillo

La Tabula di Germanico

Chiude la visita la recente scoperta della Tabula di Germanico in bronzo, scritta su 22 righe in alfabeto latino arcaico. L’epigrafe riproduce alcuni passi del Senatus Consultum de honoribus Germanici, del 19 d.C., e riporta gli onori funebri che dovevano essere tributati, su ordine dell’Imperatore Tiberio, al valoroso condottiero Germanico morto alcuni mesi prima. Finito nel magazzino del Museo senza essere inventariato, questo frammento è importantissimo: è il secondo esistente al mondo, dopo la Tabula Siarensis, rinvenuta a Siviglia e che riporta un altro frammento dello stesso decreto imperiale

Visita curata da Laura Castrianni e Sergio Sabatini

Prossimo appuntamento

Domenica 2 Giugno ore 16.30

“Credere negli dèi: le forme del sacro in Etruria e a Roma”: visita guidata tematica sugli aspetti rituali e votivi che caratterizzavano la vita degli antichi attraverso i materiali conservati al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.


marilena badolato maribell@live.it

AUTHOR - Marilena Badolato