IL TORCOLO DI SAN COSTANZO DI PERUGIA E LA MOCAORA’ DI VALENCIA: I DOLCI DEGLI INNAMORATI
E’MOLTO FREDDO STAMANE (San Costanzo della gran freddura...) e raggiungo la scuola di Castel del Piano quando i bambini iniziano a entrare. Mancano due giorni alla festa di San Costanzo, patrono di Perugia, ed oggi in classe si elaborerà la storia del santo e la ricetta del torcolo, la ciambella degli innamorati. Anzi dei fidanzati. L’immagine del santo collocata nell’omonima antica chiesa, per un effetto rifrangente di raggi solari, alcune volte rimanda un “occhiolino” alle ragazze nubili, segnale che si sposeranno entro l’anno. E segnale di messa in guardia agli eventuali fidanzati, chè questa ciambella rotonda in fondo riproduce anche un possibile anello di fidanzamento.
L’ORA DELLA MERENDA DEI BIMBI, seduti e tranquilli, coincide con una bella fetta di pane cosparso d’olio extra vergine d’oliva umbro, grande salubrità, la nostra merenda di un tempo e ancora attuale. Bella lezione di energia e benessere per un break rompi digiuno. Così possiamo poi in tranquillità iniziare il nostro incontro sensoriale sul gusto in questa classe, dove con le insegnanti Ambra e Romina ho iniziato a seguire un percorso di ricette tipiche e storiche umbre in gemellaggio con quelle della città spagnola di Valencia.
INSIEME ALLA RICETTA DEL TORCOLO, impastato dalle abili mani dell’insegnante Ambra, (partiamo dalla pasta di pane già fatta lievitare dal prezioso lievito- madre), assisto a una drammatizzazione di “amor cortese”, preparata dall’insegnante Romina, dove un LUI e una LEI sotto lo sguardo di “una” San Costanzo, decidono di giurarsi amore eterno se il santo farà l’occhiolino (cosa di cui Francesca è bravissima).
LA RICETTA E’ SEMPLIFICATA, ma segue almeno negli ingredienti quella classica di un disciplinare depositato con atto notarile: farina, lievito, zucchero, olio, vero cedro a pezzetti, anice, pinoli, uvetta, per una ciambella con il foro centrale. E i bimbi sanno anche la storia di questa ciambella e il perchè del foro centrale: serviva a infilare tutti i torcoli in un bastone quando si portavano in Fiera per la vendita. E in parete vi è un disegno fatto da loro che riproduce tanti torcoli ritagliati e dipinti e infilati in una lunga corda. Attenti i bambini e seduti, passo con la ciotola che contiene la pasta di pane già lievitata per far guardare attentamente quelle bollicine e piccole screpolature superficiali che indicano l’ottimo lavoro del lievito madre che l’insegnante ha usato. Osservano ora, allineati sul tavolo, gli ingredienti che loro stessi aggiungeranno- uva passa, pinoli, canditi del verde cedro, il colore delle pietre della tiara del santo vescovo e martire creata da queste brave insegnati insieme al bastone vescovile-, e aspettano che si compia il miracolo del “torcolo”. Ecco il cedro che le maestre tagliano a pezzetti, ne sentono il profumo, ma soprattutto individuano quello dell’ anice – “Non mi piace l’anice” -si alza una piccola voce-che verrà copiosamente cosparso sulla pasta. “ Cosa potrebbe diventare bambini ora questo impasto steso se noi aggiungessimo mozzarella e pomodorini?? “ –chiedo- “ Una pizzaaaa ”- gridano in coro-hanno già capito che di pasta di pane parliamo. A turno si alzano, le manine distribuiscono uvetta, pinoli e canditi- che conoscono e sanno il procedimento per prepararli con lo zucchero-e analizzano il colore vero, reale del cedro. Si alza un pianto improvviso e in “pieno benessere”, ma la maestra intuisce subito: questo bambino voleva essere il primo a decorare il torcolo ed ora si alza e, preso per mano, viene condotto al tavolo della decorazione. La maestra Ambra impasta questo scrigno ora ricco di bontà e lo depone nello stampo già imburrato che viene coperto da pellicola trasparente e collocato accanto a una fonte di calore, chè deve lievitare, e soltanto molto più tardi verrà infornato dalle cuoche della scuola. La ricetta tradizionale insegna che, prima di essere posto in forno, la superficie del dolce venga indorata con un uovo lievemente sbattuto e incisa con 5 taglietti diagonali a ricordare le 5 Porte di Perugia. Le famiglie, i bambini e i genitori godranno in serata di questa ricca prelibatezza.
È ORA DI ELABORARE LA STORIA APPENA NARRATA: la ricca tiara del vescovo patrono, fabbricata dai bambini e dalle insegnanti, viene collocata dalla maestra Romina in testa ad una bambina, quella che ha imparato meglio a fare l’occhiolino, che si posiziona munita di pastorale, e dichiara o no legittima la richiesta di fidanzamento di una coppia, Gioia e Silvio, che aspetta il responso. San Costanzo / Francesca fa l’occhiolino. Amen e così sia, coppie di fatto già fatte. Altra coppia estemporanea, Stefania e Gianmaria, guarda trepidante Costanzo/a che emette il verdetto con l’occhiolino, è ok, si abbracciano e poi se ne tornano a posto. Un bambino, tocca a lui, è preoccupato, non sa se prestarsi al rito sotto gli occhi del ”santo” ed è titubante. Non preoccuparti, è una finzione, spieghiamo a questo già in fieri “scapolo incallito ”.
BELLISSIMO IL “GRANDE LIBRO DELLE RICETTE”, così lo chiamo, riccamente decorato e con la storia di ogni evento, testimonianza del lavoro svolto insieme ai bimbi per trasmettere cultura e sapere in modo giocoso, allegro, curioso, didatticamente fondante. Il gioco non è solo stare insieme, ma mezzo per trasmettere conoscenza e per elaborarla, e per conoscere tradizioni e prodotti del territorio. E’ ora di andare, e sempre a malincuore lascio questa classe.
DI OGGI AI BAMBINI E’ RIMASTA UNA STORIA, un torcolo, una ciambella d’amore, la pasta del pane con un lievito cosi salutare che si chiama “ madre” tanto ci vuole bene, che oltre che pane o pizza oggi ci ha regalato un dolce. La storia di un santo patrono affettuoso che regala ammiccamenti a fanciulle e il suo placet a coloro che vogliono sposarsi. La mia presenza che cattura la loro attenzione e curiosità per aneddoti, curiosità, appunti di antropologia del gusto e fotografie.
STORIA, RICETTE, PRODOTTI che richiamano le tradizioni, gli usi, i costumi di un territorio. Ingredienti e riti si mescolano, sacro e profano si radicano insieme come è sempre stato nella vita degli uomini, che hanno affidato allo stare insieme e alla convivialità la loro storia, la loro cultura. E la cultura di paesi diversi che anche loro festeggiano, con storie antiche, dolci tradizionali, come i dolcetti di marzapane di Valencia che il giorno della festa di san Dionigi, il 9 ottobre, l’innamorato regala alla sua donna del cuore racchiusi in un fazzoletto prezioso in seta, i Mocaorà (da mocador fazzoletto in valenziano), e che lei conserverà per tutti gli anni della sua vita, come pegno annuale d’amore.
I MOCAORA’ DI VALENCIA. Il 9 ottobre ricorre San Dionigi ed è anche il giorno che Guglielmo I il conquistatore si annettè la città di Valencia (1238), e la storia racconta che quando il re entrò a Valenza gli abitanti della città offrirono alla sua sposa, come segno di benvenuto, la frutta e la verdura degli orti in un piatto di ceramica avvolto in un fazzoletto di seta. Così il 9 ottobre, festa di San Dionigi patrono dei panificatori e pasticceri, si iniziò a celebrare, sin dal 1328, come la festa della fondazione del regno di Valencia. Dai secoli XV al XVIII le feste che ricordavano l’ingresso del re in città furono molto popolari e consistevano anche nell’uso di fuochi pirotecnici dal chiaro significato simbolico. Ma con l’arrivo di Filippo V vennero abolite le feste del 9 ottobre e molti altri costumi valenciani. La storia spiega che comunque, i panificatori e pasticceri di Valencia inventarono un modo per poter continuare a celebrare la festa in onore del loro patrono e allo stesso tempo diversificarne l’offerta. Così crearono la Mocaorà di San Dionigi, dove gli uomini regalano alle loro donne un fazzoletto che contiene dolcetti di marzapane di diverse forme e colori che rappresentano sia la forma dei fuochi d'artificio sia la forma della frutta e verdura degli orti, un regalo per la donna amata, la regina del cuore di ognuno, e il 9 ottobre è il giorno degli innamorati, il San Valentino di Valencia.
I MOCAORA’ DE SANT DIONIS. Hola Valencia! Qué tradición tan bonita, no la conocía y Valencia es una ciudad preciosa. El dia 9 de octubre es Sant Dionís y el día que el rey Jaime I el conquistador anexionó la ciudad de Valencia (1238), y la historia cuenta que cuando el rey entró en Valencia, los habitantes de la ciudad ofrecieron a su esposa, en señal de aprecio, las frutas y las verduras de la huerta de Valencia en un plato de cerámica envuelto en pañuelos de seda. Asì el dia 9 de octubre, fiesta de Sant Dionís patrón de panaderos y pasteleros, comenzó a celebrarse a partir de 1338 como la fiesta de la fundación del reino de Valencia. Desde los siglos XV al XVIII, las fiestas de la entrada del rey a la ciudad fueron muy populares y consistian en disparar instrumentos pirotécnicos. Pero con la llegada de Felipe V se abolieron las fiestas del nou d’octubre así como otras costumbres valencianas La historia explica que, entonces, los confiteros y pasteleros valencianos, se inventaron una manera de poder seguir celebrando la fiesta en honor a su patrón y al mismo tiempo, diversificar su oferta. Por eso crearon la “Mocaorà” de Sant Dionís: los hombres regalen a sus mujeres un pañuelo (mocador en valenciano) en el que hay envueltos dulces hechos con marzapan de distintas formas y colores que representan tanto la forma de los instrumentos pirotécnicos como de las frutas y hortalizas, regalo para la mujer amada, la “reina del corazon” de cada uno, y el 9 de octubre es el dia de los enamorados, el San Valentin valenciano.
Seconda lezione sul “gusto” con i bambini Stefania, Nicola, Sara, Francesca, Gianmaria, Andrea… ovviamente nomi di fantasia, e con le insegnanti Romina Fonti e Ambra Pellegrini della Scuola dell’infanzia di Castel del Piano (Pg)- Plesso Sud. www.comprensivoperugia6.it/infanzia/progettazione
Dirigente scolastico Margherita Ventura.
marilena badolato 27 gennaio 2015 foto di marilena badolato