TEATRO CUCINELLI SOLOMEO: BLU MONGOLIA- CULTURA E TRADIZIONE
CORRONO SULLO SCHERMO IMMAGINI PRIMORDIALI di fuoco, vento, sabbia del deserto dove si lotta per la sopravvivenza. E il rito del tè nelle ciotole in un desco condiviso da volti dai tagli orientali e telai con lane variopinte tessute e il cielo, che qui sembra più grande ed è blu per molta parte dell’anno. Già il blu, quasi colore sacro, che marchia i bambini appena nati di una macchia sulla schiena, retaggio, narra la leggenda, di una discendenza dai lupi. “Khukh Mongol”. Questa è la Mongolia. Con i suoi canti melodiosi e gutturali nello stesso tempo. Canto bifonico con strumento bicorde. Quasi un mantra che viene da dentro, dal profondo, rimbalza e vibra, mentre le mani e le dita si muovono sulle tastiere: accarezzano, strisciano, sfiorano o comprimono, per creare diversi suoni da strumenti tanto ricchi negli intarsi tanto poveri di corde. Nomi che difficilmente riesci a pronunciare o a ricordare, chè sono solo suoni di fascino, melodia e anima della Natura.
MORIN KHUUR, è il violino a due corde con il manico a testa di cavallo, iscritto nel Patrimonio orale e immateriale dell’Unesco. Le due corde, tese sul corpo dello strumento, sono del crine dell’animale e vengono suonate con un archetto di legno. Così centrale e amato il cavallo nella cultura mongola da apparire anche nello strumento che da sempre viaggia con la popolazione e ne scandisce la vita, i riti e le festa di famiglia, le cerimonie e le occasioni quotidiane, le storie raccontate ai bambini alla sera. C’è poi lo YOCHIN, un salterio, originario della Cina della dinastia Ming; e ancora il LIMBE, un flauto traverso; due liuti il DOOMBOR e il TOYSHUUR, lo spettacolare liuto a collo di cigno, e ancora il piccolo tamburo di pelle animale, il BOMBOR, quasi nome onomatopeico. Sembra che gli strumenti bicorde si sforzino di riprodurre il canto “difonico khoomi”, che evoca il suono della steppa, dei monti e dei fiumi della Mongolia. Ma è anche intonazione, respiro lungo e grande addestramento
KHUUMII è una tecnica speciale di canto, tramandata di generazione in generazione. E un tempo, durante il regno di Chingiis Khaan, eseguita solo nelle occasioni ufficiali. Una emissione di suoni corposi laringei, di più note in una stessa emissione. Un canto difonico a più tipi di voce "a imitazione della natura": per stabilire un contatto con le entità spirituali che pervadono tutte le cose ed acquisire così la loro forza. In esso sono comprese le voci degli animali, cavalli, lupi, cammelli e quella dei fiumi, l'eco delle montagne e il fischio del vento della steppa. I puri e veri rumori del mondo.
LA MELODIA ORA PIU’ALLEGRA E VIVACE ORA PIU’ TRISTE E STRUGGENTE richiama ritmi orientali, ma anche quei ritmi universali della musica popolare che unisce un po’ tutti i paesi del mondo. Perché è la musica che racconta gli uomini, e i mestieri, e la terra, e gli animali che dividono con l’uomo quel territorio. Mentre sullo schermo una vedova nera, semi nascosta dalla sabbia, fissa la sua vittima, un piccolo scarafaggio che non sfugge, è immobile, sa che sta per morire e non si sottrae a questo destino. Affascinati, quasi irretiti dai suoni che escono da una bocca che appena si muove, suoni bassi e profondi, diaframmatici. Passaggi ritmici veloci tra armoniche difoniche. Mi ricorda il nostro antico “canto a tenore” sardo del “su basso e sa contra” canto sillabato nonsense di suoni gutturali dal particolare colore vocale. Una voce dell’anima, forse. E risaltano in scena i costumi dorati e scintillanti di luce, la pelle diafana e trasparente e il sorriso e i modi garbati. Nella semplicità e ripetitività dei motivi c’è tutto il fascino dell’oriente.
LA DANZA PER UN ATTIMO CATTURA LA SCENA e lancia sgargianti riflessi dal palco, maschere dagli oscuri significati tesi a cacciare via gli spiriti negativi. Dalla musica strumentale tradizionale, ai canti, dal contorsionismo dove il corpo assume posizioni innaturali e acrobatiche, alla danza religiosa Tsam, a quella tradizionale Bijelgee. Mentre gli strumenti suonano e le ugole strozzate cantano per farci entrare in questo mondo, così lontano ora così vicino. Impenetrabile per certi versi, se non con l’emozione del suono.
Colori abiti profumi spazi infiniti steppe sconfinate animali sconosciuti fiori caparbi che sbocciano sul niente cieli di grandi scorci blu riti primordiali voci dell’anima e quindi incomprensibili nei suoni, ma rilassanti, coinvolgenti, quasi mistiche. Commoventi.
TEATRO CUCINELLI. SOLOMEO
KHUKH MONGOL FOLK ART ENSEMBLE- BLU MONGOLIA CULTURA E TRADIZIONE
Stagione di Musica 2014- 2015
marilena badolato 25 febbraio