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UNA VISITA ALL’ABBAZIA DI MONTELABATE-PERUGIA.

IL FASCINO della storia e nello stesso tempo l’ immutabilità del senza tempo, del perenne. Questo regala una visita all’abbazia di Santa Maria di Valdiponte, a Montelabate. Possente e fiera della sua bellezza ti incanta con scorci suggestivi, ma racconta anche la storia della operosità benedettina. Antiche stanze racchiudono macchinari per molire l'olio nel ciclo antico di grandi ruote di pietra che frangevano e accanto i fiscoli che lo filtravano e cantine sotterranee dall’aura gelida con enormi botti, oggi rimaste soltanto come vestigia di una storia di gusto che rimbalza su opere d’ arte qui accolte a fare bella mostra di sé. E per i lavori della terra antichi trattori “a vapore” congegnati come piccole “locomotive”. Persino la stanza della “macellazione” delle carni e quella attigua per stagionare salumi appesi in parete. L’ idea insomma di una comunità importante, operosa e autosufficiente.


LA affrescata Sala del Capitolo, la più grande e in origine certo la più bella e la Cripta dove ancora nella tortuosa sagoma immagini frati oranti. E salendo lungo impervie scale si apre la grande Chiesa con
affreschi parlanti di pestilenze combattute nel nome di trafitti San Sebastiano cui si chiedeva la grazia della guarigione. E il Chiostro, così affascinante, parla di pietre di serendipità mentre il sole penetra 
e illumina i diversi materiali del colonnato.

 

IL terremoto che qui rimbomba ogni volta, come spiega il custode-guida Fausto Cerri, l’ ha sfiorata senza intaccarne la solida bellezza. Che ha incantato registi che qui hanno girato importanti film ed è stata anche teatro del set per la serie Tv diretta dal regista Giacomo Battiato dedicata a “Il nome della rosa” di Umberto Eco.

 

1.824 ettari di cereali (grano duro, tenero ed orzo), oleaginose (girasole e colza), favino, uva ed olive. Qui il primo documento, dal libro contabile del monastero, di un ordinativo di una «uncia çafarani», in data 2 febbraio 1226, che attesta la presenza di zafferano in Umbria. Nel grande bosco di circa 750 ettari, due “patriarchi del verde”: un nespolo del Giappone di età stimata oltre i sessanta anni e un leccio di oltre duecento anni, come racconta il testo “Grandi alberi nella città”, Ricerca della Legambiente di Perugia, edito dall’Assessorato all’Ambiente del Comune di Perugia. E importante sede anche di studi archeologici di Col di Marzo, come attesta il lavoro del 2013 del professore Simon Stoddart,(materiale consultato grazie alla prof. Giovanna Farinelli)

 

La nostra terra è stata seminata più volte”, si legge nel sito www.montelabate.com che racconta l’antica storia dal 969, quando papa Giovanni XIII affidò all’abate Pietro il compito di ricostruire il monastero e ripristinare la vita monastica sotto la Regola di san Benedetto. L‘apice di potenza nell’ XI secolo, mentre nel XIII vennero ricostruiti il chiostro e la chiesa che fu dotata di opere d’arte di pregio. I primi segni di una crisi sfociarono nel 1405 nell’introduzione del regime commendatario. Una comunità di pochi monaci vi rimase fino al 1602, quando l’abbazia si trasformò in una vasta azienda agricola. Nel 1749 arrivarono i monaci cistercensi che vi restarono fino all’Unità d’Italia, quando il complesso venne posto sotto il demanio e messo in vendita. Dal 1952 è proprietà della Fondazione Gaslini di Genova (www.fondazionegaslini.com). L’azienda agraria di Montelabate oggi svolge e concretizza anche interessanti percorsi didattici rivolti alle scuole primarie e secondarie.

 

FUORI, più a valle, nella odierno frantoio moderno e tecnologico l’olio dell’Abbazia, il Corbiniano dell’Azienda agraria Fondi rustici seguita dall’agronomo Antonio Rosatelli, è prodotto ancora oggi insieme al profumato vinsanto, un tempo vino della messa. Raccontano di storie millenarie, di operosità mista a preghiera, di natura incontaminata. Di terra ancora oggi da amare.

 

 

marilena badolato

 

   

 

AUTHOR - Marilena Badolato